giovedì 28 aprile 2011

La Bolivia, il Cile e l'oceano

Lo sbocco sul mare, perso alla fine della Guerra del Pacifico (1879-1884), per la Bolivia è diventato un enorme spina nel fianco. Questo grosso problema ha generato negli ultimi anni tensioni molto forti e riavvicinamenti repentini con il Cile.

Oggi il presidente boliviano Evo Morales dichiara di voler portare il caso davanti ai tribunali internazionali in un memento in cui sembrava che il governo di La Paz potesse iniziare a raccogliere i frutti dei progressi diplomatici degli ultimi cinque anni ed in particolare quelli del marzo 2010.
Il presidente boliviano appare deciso nel coinvolgere i tribunali internazionali nei "negoziati" che dovrebbero far ottenere alla Bolivia uno sbocco al mare e durante la "Giornata del Mare", dove si commemora la perdita dei 400 chilometri di coste, ha rassicurato la nazione affermando che il governo ha studiato a fondo la strada del procedimento legale.

La dichiarazioni di Morales sono state accolte con sorpresa dal presidente cileno, Sebastian Pinera, che le ha definite "un serio ostacolo per le relazioni bilaterali".

sabato 23 aprile 2011

Pinera e le promesse non mantenute

Sembrava che il conflitto tra il governo cileno ed il popolo Mapuche si fosse attenuato dopo le promesse del governo di abrogare la Ley Antiterrorista usata colpire gli indio che si rivendicano i propri diritti calpestati dallo stato cileno.
Il governo di Pinera, nell'ottobre del 2010, chiese di interrompere lo sciopero della fame a 34 prigionieri indio, che lo portavano avanti da 81 giorni in segno di protesta contro la Ley Antiterrorista, per poter iniziare il percorso per abrogare la legge promulgata da Pinochet. Oltre a questo il governo garantì ai 34 Mapuche che sarebbero stati giudicati da un tribunale ordinario secondo le leggi ordinarie. Invece il processo svoltosi nel marzo 2011 a carico dei trentaquattro Mapuche, arrestati perché occuparono terre che secondo la legge ancestrale sono da sempre appartenute alle loro comunità) ha dimostrato l'esatto contrario perché è stata utilizzata la famigerata Ley Antiterrorista. 

Gli imputati, grazie alla legge voluta da Pinochet, sono stati condannati per attentato contro l'autorità e furto dietro intimidazione. Giunta la sentenza Natividad Llanquileo, portavoce dei prigionieri, ha dichiarato che l'unica forma di protesta attuabile dai detenuti è il ritorno allo sciopero della fame e che "sfortunatamente, pare, che si tratterà di uno sciopero molto più lungo di quello appena finito prima di ottenere cose concrete".

Va ricordato che la legge ereditata dalla sanguinosa dittatura (permette l'uso di testimoni segreti, di carceri speciali e dove non sono garantiti i minimi diritti umani) non consente al 25% della popolazione cilena di avere un processo giusto in un tribunale imparziale che applichi la legge riservata all'altro 75% dei cittadini cileni.

lunedì 18 aprile 2011

Cile: le popolazioni "incotattate" da proteggere

La campagna per proteggere le popolazioni indigene non ancora contattate, nell'Amazzonia Peruviana e Brasiliana, voluta dalla Ong Survival International ha raggiunto un primo successo spingendo il governo peruviano a collaborare con il governo brasiliano per bloccare i taglialegna che si addentrano nella foresta amazzonica ed invadono i territori delle popolazioni indio "incontattate".
Le pressioni internazionali sul governo cileno si sono intensificate quando alla fine del 2010 il dipartimento governativo degli affari indiani del Brasile (FUNAI) ha reso pubbliche numerose immagini che provavano sia la presenza di un popolo "incontattato" sia la presenza di taglialegna abusivi nel cuore della foresta. I tagliatori di legna sono nel 99% dei casi abusivi ed esplorano aree sempre più interne della foresta alla ricerca di legname pregiato e protetto dalle leggi cilene e brasiliane.
Queste popolazioni vivono in modo simbiotico con la foresta ed il mutare il delicato ecosistema amazzonico comprometterebbe la loro sopravvivenza.

Il Ministro degli esteri peruviano ha annunciato la scelta del governo rilasciando questa dichiarazione: "Ci metteremo in contatto con l'istituto brasiliano Funai per proteggere questi popoli e impedire le incursioni illegali dei taglialegna e il saccheggio dell'Amazzonia". 
Il direttore di Survival, Stephen Corry, ha commentato le immagini affermando che "si può notare la presenza di una comunità prospera e forte con ceste piene di manioca e papaia appena raccolte nei loro orti."

Adesso è fondamentale proteggere questi popoli che vedono i loro diritti fondamentali calpestati dall'arroganza del "progresso" e dalla ricerca forsennata di materie prime pregiate.

lunedì 11 aprile 2011

Chevron condannata per disastro ecologico in Amazzonia

Il 14 febbraio 2011 la giustizia ecuadoriana ha condannato la multinazionale petrolifera Chevron a pagare una multa di 8.646 milioni di dollari per aver provocato un disastro ambientale nell'Amazzonia ecuadoriana in cui la Texaco, compagnia acquisita dalla Chevron, ha operato per oltre 45 anni. 
La Texaco aprì i primi pozzi petroliferi nell'area di Sucumbíos nel 1964, alcuni anni dopo si consorziò con la compagnia petrolifera dello Stato ecuadoriano fino a quando nel 2001 fu acquisita dalla Chevron. Nel 1993 fu depositata la prima denuncia negli USA contro la Texaco ma per competenza territoriale fu spostata in Ecuador ed il procedimento ebbe inizio nel 2003 a Nuova Loja.

La sentenza punisce la multinazionale statunitense per non essersi preoccupata del trattamento degli scarti dell'estrazione petrolifera che, invece, ha lasciato insieme ad altre sostanze tossiche in vasche a cielo aperto da cui poi si sono verificate perdite che hanno impregnato il terreno e le falde acquifere.
L'inquinamento prodotto dal mancato trattamento degli scarti dell'estrazione del greggio ha provocato la distruzione di molte coltivazioni e di parti di foresta Amazzonica e come se non bastasse anche gli abitanti dell'area si sono ammalati e sono morti. 

Il giudice Nicolás Zambrano ha imposto oltre alla sanzione per i danni ecologici anche un risarcimento dell'ordine del 10% per i danni provocati alle comunità colpite. L'avvocato Pablo Fajardo, cresciuto tra i pozzi petroliferi di Sucumbíos e laureatosi per cercare di dare giustizia e dignità alla sua comunità, ha dichiarato che il risarcimento è "irrisorio per il pesante inquinamento provocato, ma significativo, anche se la nostra richiesta era di 27 miliardi di dollari. Abbiamo combattuto giuridicamente per ottenere che l'impresa Chevron, prima Texaco, risponda del suo crimine e paghi per riparare il danno ambientale provocato. È chiaro che si tratta di una somma insignificante rispetto al reale crimine commesso, un crimine ambientale sì, ma anche culturale e umano. Resta comunque il fatto che siamo di fronte a un vero passo avanti verso il trionfo della giustizia". 

La Chevron però contesta la decisione del giudice tramite un comunicato stampa in cui si legge: "La sentenza della corte ecuadoriana è illegittima e inapplicabile. È il prodotto di una frode e totalmente contraria a quello che dimostrano le prove scientifiche e legittime. Chevron ricorrerà in appello e spera che prevalga la giustizia. Sia le corti Usa che i tribunali internazionali hanno già preso le dovute misure per prevenire l'applicazione del verdetto emesso dalla corte ecuadoriana. Chevron è convinta che in qualsiasi Stato di diritto questa sentenza sia inapplicabile". 

A vantaggio della multinazionale statunitense vi è un verdetto del 11 febbraio 2011 emesso dalla Corte permanente di arbitraggio del Aja la quale proibisce, temporaneamente, l'applicazione di ogni sentenza emessa contro la Chevron. La decisione del Aja risponde ad una richiesta di arbitrato fatta dalla multinazionale nel settembre 2009 basata sul Trattato bilaterale tra Usa ed Ecuador che esonera da ogni responsabilità la multinazionale nel avesse ricoperto un terzo delle 260 piscine costruite per contenere gli scarti dello sfruttamento petrolifero. 
Oltre alla sentenza del Aja ve ne è anche un'altra pronunciata da un giudice di New York che blocca il pagamento dei risarcimenti fino a che non vi sia un giudizio definitivo. 

Il primo passo verso la giustizia, anche se osteggiata con ogni mezzo della Chevron e dalle pressioni politico/economiche degli Usa, è arrivato dopo 18 anni dalla denuncia per disastro ambientale; anche se è il primo grado di giudizio rimane una sentenza storica che speriamo deventi definitivo.

mercoledì 6 aprile 2011

La Bolivia non collaborerà con la DEA

Il governo Morales ha respinto una richiesta di collaborazione del governo USA che proponeva l'invio di una task force di agenti DEA (Drug Enforcement Administration) per combattere la produzione ed il traffico di stupefacenti. 
La richiesta degli USA nasce dall'arresto del generale boliviano, René Sanabria ex capo della sezione anti narcotici dal 2007 al 2009 ed attualmente dirigente del servizio di intelligence del ministero degli Interni, che avrebbe trasportato cocaina (gli inquirenti parlano di più di circa 150 kg) destinata ai mercati di Spagna e Usa via Panama. 
Grazie a questo arresto gli USA hanno messo in dubbio tutto il lavoro svolto dal governo boliviano negli anni di presidenza Morales insinuando che anche le alte sfere dello stato siano coinvolte o conniventi con i narcotrafficanti.

La replica del presidente Morales non si è fatta attendere ed ha affermato che "se un poliziotto è corrotto, il problema è di quel poliziotto. Invece la Dea lo utilizza per colpire il governo. La Dea è uno strumento che gli Stati Uniti usano per ricattare i Paesi che non rispettano capitalismo e imperialismo. La lotta alla droga e al traffico internazionale di stupefacenti è guidata solo da interessi geopolitici" ed per queste ragioni gli agenti Dea non potranno rientrare in Bolivia.

In Bolivia la produzione di cocaina è aumentata sia per la maggio richiesta del mercato mondiale sia per le operazioni (fumigazioni per distruggere le piantagioni) che la Dea e le forze di sicurezza colombiane attuano in Colombia. 
Sfortunatamente per adesso l'enorme sforzo che il governo Morales sta producendo per combattere il narcotraffico sembrano non dare i risultati sperati. Il governo si sta concentrando sull'educazione e la formazione dei campesinos per far capire che la cocaina produce enormi danni sia alla salute sia al territorio su cui cresce.

venerdì 1 aprile 2011

La Ley de Justicia y Paz

La legge Justicia y Paz voluta dall'ultimo governo Uribe nel 2006 fa sentire oggi i suoi effetti; la legge in questione permette di alleggerire ed addirittura di estinguere la pena per chi si è macchiato di atroci delitti duranti i più di sessanta anni di guerra civile in cambio di Verità, Giustizia e Riparazione.

La legge è riuscita a far emergere più di cinquantamila crimini ma ha garantito a coloro che confessavano, quindi ai colpevoli, l'impunità. Gli episodi che sono emersi non sono reati di poco conto ma sono massacri, sequestri, violenze sessuali e psicologiche, torture e omicidi in sintesi sono reati che violano i diritti umani. 

La Ley de Justicia y Paz rende vano il codice penale colombiano, che prevede condanne fino a 60 anni di carcere per i crimini contro l'umanità, dato che si sostituisce ad esso nel caso in cui i colpevoli confessino i reati, aiutino la giustizia a fare luce sugli episodi, forniscano aiuto per abbattere le organizzazioni paramilitari e riparino "il danno" provocato ai familiari delle vittime. Coloro che verranno dichiarati colpevoli avvalendosi della Ley de Justicia y Paz sconteranno un massimo di otto anni di carcere.

Stranamente con l'entrata in vigore della legge voluta da Uribe i giudici sono stati costretti a comminare pene molto ridotte senza che i colpevoli riparino "il danno" procurato e senza che abbiano fornito elementi importanti per smantellare i gruppi paramilitari che stanno proliferando come e più di prima. 

Altro aspetto fondamentale della Ley Justicia y Paz è è quello di non essere una legge di transizione che è valida solo per alcuni delitti commessi in un periodo di tempo ben definito, come è accaduto in Cile e Sudafrica dopo la fine dei conflitti interni o dei regimi dittatoriali, ma la legge promulgata da Uribe non ha un limite temporale.

Con questa legge nessuna vittima avrà giustizia in Colombia.